Sono
circa 16,500 le donne cilene che, ogni anno, arrivano negli ospedali con gravidanze
a rischio per malformazioni del feto incompatibili con la vita e per complicanze
che minacciano l’esistenza della partoriente stessa. L’aborto però non può
essere la soluzione perché non è concesso dalla legge che considera la pratica un
reato. Oggi, infatti, in Cile l’interruzione di gravidanza può essere punita
con pene dai 3 ai 5 anni di carcere. Dietro alle sbarre, dunque, le donne che
hanno abortito perché vittime di violenza sessuale.
Secondo
alcune stime, sono più di 130mila le gestazioni interrotte clandestinamente ogni
anno. Impossibile, comunque, avere un dato preciso considerato che la pratica
abortiva avviene illegalmente.
Eppure
nel Paese l’aborto terapeutico è stato legale per più di cinquant’anni fino a
quando è stato vietato nel 1989 dall’ex dittatore Augusto Pinochet. Sono seguiti
24 anni di democrazia in cui, a causa dei gruppi conservatori e delle pressioni
della Chiesa cattolica, non è stata reintrodotta la possibilità di abortire.
Per
segnare una frattura nel muro del conservatorismo religioso e politico e del
bigottismo ipocrita che preferisce veder morire le donne per una preannunciata
gravidanza a rischio piuttosto che fare un passo avanti verso un’autentica
democrazia, bisogna attendere il 2014, anno in cui viene rieletta presidente
del Cile Michelle Bachelet.
Durante
il suo primo mandato da capo dello Stato iniziato nel 2006 e terminato nel 2010,
Bachelet ha combattuto a lungo per garantire a tutte l’accesso alla pillola del
giorno dopo. Ha anche diretto l’Un Women, l’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza
di genere e l’autonomia delle donne.
Punto
di forza del programma politico del nuovo mandato di Michelle Bachelet è proprio
la legalizzazione dell’aborto terapeutico. Il 31 gennaio di quest’anno (nella
stessa settimana in cui sono state approvate le unioni civili anche per le
coppie gay) viene, quindi, presentato in Parlamento un progetto di legge per
eliminare, una volta per tutte, il divieto assoluto di interrompere la
gravidanza.
Il disegno
di legge depenalizza l’aborto in caso di stupro, di pericolo “presente o futuro
per la vita della madre” e di “malformazioni fetali incompatibili con la vita
extrauterina”. Concesso il diritto di obiezione di coscienza ai medici.
Forse,
grazie a questo progetto di legge, le donne cilene potranno riappropriarsi di
se stesse. Sono primi passi. Si spera diventino le impronte lasciate indietro
da una democrazia che ha intrapreso il cammino del progresso partendo dalla
salvaguardia dei suoi cittadini. Cittadine, per l’appunto.
(Fonti:
lainfo.es – foto, distintaslatitudes.net
– Internazionale)
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